I FILM DEGLI ULTIMI 25 ANNI,
di Francesco Lampone

Quanto all'immagine cinematografica di Assisi, l'ultimo quarto di secolo non si dimostra all'altezza del venticinquennio precedente, che nel nome di Francesco aveva regalato alla città ben quattro film di valore assoluto, ciascuno alla sua maniera, a firma di registi del valore di Roberto Rossellini, Michael Curtiz, Liliana Cavani e Franco Zeffirelli. Il periodo si apre timidamente nel 1976 con "Oh Serafina!", con cui Alberto Lattuada porta sullo schermo l'omonima "fiaba di ecologia, di manicomio e d'amore" dello psichiatra/narratore Giuseppe Berto. Lattuada è ormai lontano dalle sue migliori prove, ma sa ugualmente tirar fuori il meglio da una splendida Dalila Di Lazzaro e da un freschissimo Renato Pozzetto. Il comico milanese, non ancora colato a picco negli abissi della commedia italiana anni '80, è qui impegnato a dialogare variamente con pennuti d'ogni taglia e colore, ciò che diviene giusto motivo sia di un suo internamento in casa di cura, sia di una visita nei luoghi d'origine del suo più illustre predecessore San Francesco. Ancora, dunque, più che la città è il suo stereotipo a trionfare, ma è anche la prima volta che occhieggia sullo schermo il fenomeno dell'imponente sfruttamento economico e turistico del pellegrinaggio. Una storia dimenticata dai più, quella del coraggio discreto degli assisani che durante l'ultima guerra nascosero e misero in salvo numerosi ebrei italiani, sottraendoli alle persecuzioni nazifasciste, viene riportata alla luce del 1984 dall'Assisi Underground di Alexander Ramati, già autore di un'omonima opera letteraria. Si tratta di una produzione piuttosto ricca (grazie ai capitali delle lobbies ebraiche e statunitensi), che recluta un cast internazionale un po' bolso ma prestigioso: James Mason, Maximilian Schell, Irene Papas ed un astro nascente presto tramontato (Ben Cross). Insomma uno di quei cocktail che di norma garantiscono un mediocre risultato artistico ed un soddisfacente successo di botteghino. Purtroppo, il film non arriva a conseguire né l'uno, né l'altro. Ramati si dimostra incapace di tenere insieme gli attori e le varie parti della storia, che si trascina noiosamente per luoghi comuni narrativi e cinematografici, scontando anche uno standard realizzativo al di sotto della media. Per Assisi, alla sua prima vera affermazione scenografica, si tratta di una vera occasione perduta. Appena un paio d'anni dopo, non approda a migliori risultati un piccolissimo film, prodotto in regime di autarchia: "Prima che giunga l'alba". Complice anche l'assoluta scarsità di mezzi, che impone fra l'altro il ricorso ad attori non professionisti che solo talvolta si dimostrano all'altezza della situazione, il regista Enrico Bellani non sa condurre in porto un interessante soggetto, poeticamente sospeso fra l'incertezza del presente ed una indefinita nostalgia, opera di due assisani (Piero Mirti e Francesco Frascarelli) e di un perugino (Antonio Carlo Ponti). La storia è quella di un piccolo industriale che, colto da una sorta di "trance" esistenziale, si sottrae al contatto con la propria famiglia che si trova così piombata in una disordinata, affannosa ricerca che si trasfigura, per tutti i protagonisti, in un percorso di educazione sentimentale e spirituale. Il monte di Assisi, il Subasio, con le sue incongrue ed affascinanti praterie, è lo scenario prevalente di un'avventura culturale coraggiosa e sfortunata. Evidentemente non paga del risultato ottenuto con il suo film d'esordio del 1966, Liliana Cavani decide di mobilitare, ventitré anni dopo, ben più imponenti mezzi produttivi intorno ad una nuova narrazione della vita del santo d'Assisi. Il suo nuovo Francesco è una scommessa audace, il cui sostanziale cattivo esito si consuma in buona parte, più che nel paragone con il primo film, intorno all'errata scelta del protagonista, inquinata dall'ansia di trovare una nuova via di fuga dalla tradizionale agiografia francescana. Mickey Rourke, pur garantendo il successo commerciale del film (che non è poco, comunque), e fornendo una delle sue ultime interpretazioni accettabili, reca con sé una carica di sensualità e fisicità prorompente che mal si adattano a Francesco, talché l'umiltà del Santo sembra divenire, troppo spesso, semplice umiliazione dell'uomo. Con gran rumore di dichiarazioni giornalistiche, la Cavani rifiuta di girare scene ad Assisi, giudicata troppo commerciale e snaturata, ciò che relega la città, in quest'ultimo (fino ad oggi) film sul santo, ad uno scenario ideale, evocato dal montaggio cinematografico di luoghi diversi e lontani. Francesco non è però l'ultimo film su Assisi, che nel 1991 viene prescelta dal giovane regista perugino Maurizio Angeloni per "La ballata di Ren-Ham", realizzato con finanziamenti pubblici e mai apparso nel circuito delle sale, ma solo in quello dei festival (senza alcun successo), oltre a un paio di passaggi televisivi a tarda notte nelle reti Mediaset. Lo spunto narrativo è quello, piuttosto logoro per la verità, delle vicissitudini di uno stage teatrale e delle occasioni di crescita personale ed esistenziale dei suoi partecipanti. Purtroppo per Assisi, ancora una volta, la realizzazione è piuttosto sciatta, né la storia narrata si collega efficacemente all'ambientazione assisana, apparentemente piuttosto casuale. Ciononostante, il film ha il merito incidentale di documentare, sullo sfondo, alcuni aspetti della vita cittadina che a meno di dieci anni di distanza non trovano già più riscontro, divorati dal moloch dello sfruttamento turistico; e resta comunque da salvare la prima apparizione sullo schermo, ancora immatura ma non perciò meno interessante ed efficace, del giovane attore assisano Andrea Cagliesi.

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