L.A.M.A.,
di Elvio Lunghi
"Littera gesta docet, quid credas allegoria, tendas anagogia"

I commentatori medievali della sacra Scrittura formularono quattro chiavi di interpretazione dei testi sacri, attraverso le quali spiegare il programma divino nella storia, dai sei giorni della creazione, attraverso il settimo giorno della caduta e della redenzione, fino all'ottavo giorno della consumazione del secolo e dell'attuazione del regno di Dio. La parola Divina rivelata all'uomo per voce dei profeti e grazie all'incarnazione del 'Figlio dell'Uomo', si esprimeva per segni e parabole. Già l'apostolo Paolo si era fatto carico di spiegare e commentare, confrontare e rendere comprensibile ai più il paradosso evangelico, dichiarando che il Cristo era veramente il Messia promesso ad Abramo e che attraverso la sua Santa Croce il mondo era stato redento dal peccato originale di Adamo. La fine dei tempi, l'Apocalisse, era stata rivelata in un libro scritto dal discepolo prediletto Giovanni, che con un linguaggio ricco di immagini suggestive aveva evocato il tentativo finale delle forze del male di impadronirsi della terra, fino al trionfo finale della Parusia. Nell'attesa del Suo ritorno nella gloria dei cieli, annunciato da Cristo a poveri pescatori di Palestina, decine e decine di monaci si impegnarono a decifrare nel creato i segni premonitori dell'ottavo giorno. Se questo non portò all'attuazione della promessa, che attende ancora di trovare la sua conclusione, dette origine ad una scienza complessa di esegesi biblica. La prima chiave di lettura è il senso letterale o storico: littera gesta docet, la lettera insegna la storia. Ma i testi biblici non raccontano solo le travagliate vicende del popolo eletto, ma annunciano anche il disegno fatto da Dio nella storia dell'uomo, attraverso metafore e allegorie: quid credas allegoria, un mistero che dia un senso alla fede. Il linguaggio della Croce anticipa il Regno di Dio sulla terra e corregge l'uomo dagli errori della colpa originaria: moralis qui agas, i costumi a cui attenersi. Il fine ultimo è la visione divina, verso la quale deve aspirare con tutte le sue forze la mente umana: qui tendas anagogia, le cose supreme alle quali aspirare. Il quadruplice senso della lettura rispondeva ai nomi di senso letterale o storico, di senso allegorico o dei significati, di senso tropologico o morale, di senso anagogico o chiave dei mistici. Queste chiavi erano applicate ad ogni singolo passo o parola dei testi sacri e mettevano in luce la conformità tipologica tra vecchio e nuovo testamento. Per fare un esempio: il domenicano San Tommaso d'Aquino, commentando il fiat lux della Genesi, spiegò che nel senso letterale esso significava la luce materiale, nel senso allegorico l'avvento di Cristo nella Chiesa, nel senso morale la illuminazione di Cristo sull'intelletto e sugli affetti, nel senso anagogico la visione della gloria divina. Queste raffinate chiavi di lettura trovarono ampia applicazione anche nei programmi iconografici delle chiese, che significavano il Regno di Dio attuato sulla terra in anticipo della visione della Sua gloria celeste. Significativo è un passo del francescano San Bonaventura da Bagnoregio dedicato alle parole dell'Ecclesiastico Qui creavit me requievit in tabernaculo meo: nel senso letterale esse indicano il grembo di Maria che contenne fisicamente Cristo, nel senso allegorico indicano la Chiesa dove Cristo è conservato sacramentalmente, nel senso morale indicano l'anima dei fedeli dove Cristo è presente spiritualmente, nel senso anagogico indicano la corte celeste dove Cristo è presente eternamente. L'intelligenza di questo quadruplice significato andò perduto con l'affermarsi al cadere del Medioevo della Devoto moderna, che privilegiò una dimensione privata e individuale della spiritualità, caratterizzata da una nota di sobrietà e di realismo - in tempi più recenti per gli effetti del dilagante materialismo -, ma esaminando con attenzione il programma iconografico di edifici sacri realizzati in data antecedente l'inizio di questo fenomeno è facile impresa vedere i fili che legano l'universo visibile alla profezia divina. Purtroppo questa intelligenza è stata gravemente menomata dalla fortuna incontrata presso gli storici dell'arte dei tempi moderni - credenti o no che siano - di un celebre passo di Gregorio Magno, che scrivendo al vescovo di Marsiglia sottolineò il ruolo delle immagini presenti nelle chiese come Biblia pauperum, come Bibbia per gli illetterati, che non sapendo o non potendo leggere i testi sacri attraverso le immagini potevano essere istruiti sulla vita dei santi e sulle cose ultime: impropriamente questo passo è stato esteso a tutte le immagini presenti nelle chiese, non tenendo conto che solo in parte queste erano destinate al popolo. Forse l'ultimo edificio dove la quadruplice chiave trovò attuazione nell'invenzione della sua veste iconografica fu la basilica superiore del S. Francesco di Assisi; nelle posteriori chiese francescane o in quelle costruite per altri ordini mendicanti non ne compare più traccia, per l'invadenza delle sepolture private corredate da immagini di devozione private. Le pareti affrescate e le vetrate figurate della basilica superiore sviluppano un programma raffinatissimo, che semplicisticamente viene spiegato nelle guide turistiche e nei libri di storia dell'arte con la elencazione dei soggetti delle storie e degli autori dei dipinti. In breve: tutto è ridotto al racconto della vita di San Francesco affrescata da Giotto - ma siamo proprio sicuri che sia proprio Giotto l'autore principale di questo celebre ciclo? che vide all'opera almeno tre o quattro pittori dotatissimi tutti rigorosamente anonimi -, quasi che a queste storie fosse affidato il compito di iniziare alla conoscenza del santo fondatore dell'ordine dei frati Minori i devoti pellegrini in visita alla sua chiesa sepolcrale. Chiunque sia entrato almeno una volta nella vasta aula papale della chiesa superiore, difficilmente dimenticherà lo smarrimento provato nel passaggio dal candido muro esterno dell'edificio di pietra alle superfici coloratissime e traslucide dell'interno. La migliore descrizione di questa situazione è il racconto presente nell'Apocalisse di Giovanni della visione della Gerusalemme celeste, al quale si ispirarono tutti i costruttori di cattedrali, S. Francesco compresa : "Le mura sono tutte costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose: Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di caldedònio… La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello". Ma quando il visitatore proverà a riconoscere i soggetti delle storie figurate, con rammarico proverà la propria limitatezza perché si troverà davanti ad una storia già iniziata; dovrà percorrere l'intera navata e solo allora troverà il primo episodio che dà inizio al racconto della vita di San Francesco, che andrà letta da sinistra a destra nell'intero perimetro. È pur vero che il percorso di visita consigliato ai pellegrini odierni, che prevede l'ingresso dalla chiesa inferiore e l'accesso alla superiore attraverso le scalee del transetto, consentirà ai visitatori di incontrare san Francesco sin dall'Omaggio del semplice, ma questo non era possibile in antico, quando l'accesso all'abside era attraverso le scale ricavate all'interno dei torricini e la navata era sbarrata da un pontile all'altezza dell'ultima coppia di pilastri: ne deduco che l'inventore del programma iconografico non si preoccupò dell'istruzione degli illetterati entrati dalle porte d'ingresso, ma ad intelligenza delle cose future. La chiave allegorica è nella corrispondenza tipologica tra il racconto mitico della Creazione e delle gesta dei patriarchi con la vita di Cristo, raffigurate nella parte superiore delle pareti, dove la profezia biblica viene chiarita nel Vangelo e trova attuazione più in basso nella via della croce intrapresa da San Francesco: ciascuna campata della navata andrà letta in questa direzione, dall'alto verso il basso, da Dio all'uomo, sotto l'auspicio degli apostoli - simbolo della Chiesa - splendenti nelle vetrate. La chiave morale è offerta da singoli episodi della vita di San Francesco disposti in posizione strategica alle pareti. Entrando in chiesa, il primo episodio che si incontra sulla sinistra - è inutile ricordare che l'abitudine alla lettura ci porta a privilegiare, dai tempi dell'invenzione della scrittura, il lato sinistro come inizio - l'episodio della morte del cavaliere di Celano. La storia è nota: Francesco fu invitato a pranzo da un nobile di Celano, ma prima di sedere a mensa invitò il suo ospite a confessare i suoi peccati, cosa che fu prontamente fatta davanti al frate che accompagnava il santo; seduti a mensa, il cavaliere improvvisamente spirò. Nel Trattato dei miracoli Tommaso da Celano commentò l'episodio con una lode del sacramento della confessione, e questo è il messaggio affidato al dipinto. I tre miracoli post mortem che concludono la Leggenda francescana mirano a porre in luce lo zelus animarum da lui perseguito - contrariamente alle più antiche tavole dipinte con i miracoli del santo dove erano rappresentate miracolose guarigioni di storpi o di malati in visita alla sua tomba -, con l'invito alla confessione e al pentimento. Alla chiave anagogica, la chiave dei mistici, ci introducono alcuni episodi della vita della beata Angela da Foligno. Quando Angela visitò Assisi, nell'ultimo decennio del Duecento, la decorazione della chiesa superiore doveva essere già ultimata o in via di ultimazione, eppure la mistica non sembrò provare alcun interesse per la bellezza dei dipinti. Il suo biografo racconta di aver cominciato a trascrivere il racconto delle visioni di Angela dopo aver assistito ad un increscioso episodio avvenuto proprio all'interno di S. Francesco, quando la donna cominciò a gridare in chiesa e fu cacciata dai frati. Più tardi il frate le chiese ragione dell'accaduto e questa gli descrisse la visione ricevuta di un San Francesco tenuto in braccio da Cristo. Il biografo annotò come Angela avesse visto l'immagine dipinta, ed effettivamente si tratta del soggetto di una vetrata posta all'immediata sinistra dell'ingresso. Che il biografo non si sia stupito della coincidenza tra la vetrata e la visione di Angela si spiega per il fatto che la vetrata era stata realizzata per quello scopo preciso, cioè per sollecitare una ascensione mistica verso il sacro e il divino - la parola anagogia significa letteralmente "ascesa verso l'alto" -; altre visioni di Angela sono precise descrizioni dei soggetti delle vetrate o di dipinti collocati nelle pareti superiori e meglio illuminate di questo edificio. Tutta la società medievale viveva nella perenne attesa della visione divina e la chiesa eretta sulla tomba di San Francesco, immagine della nuova Gerusalemme, diventava nella parole di san Bonaventura l'immagine del tabernacolo di Cristo presente nella specie eucaristica e reso attuale dall'alter Christus. Cosa c'era di male se qualcuno riusciva effettivamente a vedere i celestia mysteria ventura, ascendendo per visibilia ad invisibilia? Così va inteso il programma iconografico di S. Francesco, spiegato a intelligenza dei lettori di Assisi mia. Così è, se mi piace.

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